L’ultima sorpresa dell’inflazione statunitense ha avuto un impatto negativo immediato sulla maggior parte dei mercati: l’inflazione primaria di agosto è stata dell’8,3% rispetto all’8,1% stimato dal consenso, mentre quella core si è attestata allo 0,6% contro uno 0,35% previsto dal mercato. Gli investitori dal canto loro si aspettavano un rallentamento dell’inflazione, che in molti paesi invece è addirittura accelerata (si veda Grafico 1). Preoccupante è il fatto che l’impennata del CPI core statunitense sia riconducibile in parte ai beni rifugio, dove le variazioni di prezzo tendono ad essere persistenti.
Le speranze di una pausa nei rialzi dei tassi ufficiali da parte delle banche centrali sono state deluse. Già nell’ultimo mese le aspettative di un aumento dei tassi di riferimento avevano provocato un sell-off degli asset rischiosi. Il messaggio delle banche centrali era stato chiaro: erano pronte a fare “tutto il necessario” per tenere sotto controllo l’inflazione e i tassi avrebbero continuato a salire, di più e più a lungo di quanto si aspettassero molti operatori.
Dopo gli ultimi dati sull’inflazione dei prezzi al consumo (CPI) negli Stati Uniti, le aspettative sui tassi sono balzate ancora più in alto (si veda Grafico 2), con un prevedibile impatto negativo sulle azioni, in particolare su quelle orientate alla crescita. La previsione di un picco per i tassi statunitensi è salita ora a quasi il 4,5%, sebbene i mercati si aspettino ancora che Federal Reserve cambi rotta e inizi a tagliare i tassi entro la primavera del 2023. Noi siamo invece dell’avviso che resteranno elevati per tutto il 2023.
L’aumento dei tassi di sconto non è l’unico rischio per le azioni. Esattamente come negli Stati Uniti, anche nell’Europa continentale l’andamento fiacco dei mercati è ascrivibile alle aspettative di incremento dei tassi, sebbene gli indici azionari europei siano un po’ meno sensibili rispetto a quelli americani, dato il maggiore orientamento del mercato al valore.
Aspettative divergenti
Ad ogni modo, il calo delle prospettive di crescita ha giocato un ruolo maggiore. Negli Stati Uniti, gli indici dei responsabili degli acquisti (PMI) continuano a suggerire una solida espansione, con l’ultimo indice manifatturiero dell’Institute of Supply Management attestatosi a quota 53, a fronte dei 57 punti raggiunti da quello dei servizi.
I PMI europei, invece, sono già scivolati sotto il 50, poiché l’impatto dello shock energetico si sta facendo sempre più evidente – oltretutto ben prima dell’inverno. Per contro, i PMI dei servizi restano oltre la soglia del 50, favoriti da un’ottima stagione dei viaggi grazie al periodo di ferie. Un euro debole infatti ha attirato molti turisti statunitensi – un impulso che tuttavia sembra destinato a svanire con la fine dell’estate.
È pur vero che nemmeno gli Stati Uniti sono insensibili al peggioramento delle prospettive di crescita. Le stime sugli utili (escluse le materie prime) per il trimestre in corso sono diminuite drasticamente da giugno, con un calo di oltre il 7%. Le previsioni di crescita degli utili su base annua si attestano quindi ad appena il 3,5% e questa stima potrebbe comunque rivelarsi eccessivamente ottimistica.
Recessione e crescita degli utili?
Pensando al 2023, molti economisti e investitori si aspettano una recessione negli Stati Uniti. Tuttavia, le stime di crescita degli utili sono rimaste positive al 7,5%, mentre in una fase recessiva, gli utili diminuiscono in genere del 20-30%.
Questo non significa necessariamente che le stime degli analisti non siano in linea con il sentiment: semplicemente sono poco realistiche. Il rapporto tra “tori” e “orsi” è attualmente vicino ai minimi storici, con una deviazione standard inferiore alla media di lungo periodo. Tuttavia, anche la prevista espansione degli utili a un anno del 7,5% si colloca – seppure non di molto – nel segmento a breve termine. La stima media di lungo periodo è invece del 13,8% perciò quella di consenso corrisponde effettivamente quasi alla metà (si veda Grafico 3).
Anche in questo caso, non è detto che tali previsioni di incremento degli utili si realizzeranno. Se l’inflazione dovrà rientrare nel target del 2% fissato dalla Fed, la crescita negli Stati Uniti dovrà rallentare in misura significativa e gli utili societari subiranno probabilmente il peso di questa contrazione economica.
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